di Alberto Rossetti, psicoterapeuta
“Papà e mamma: venite a giocare con me?”. Quante volte un genitore si è sentito rivolgere questa domanda. I bambini, fin da piccoli, alternano momenti di gioco solitario ad altri in cui richiedono la partecipazione di coetanei e adulti. Quando si rivolgono ai genitori, non è solo per avere un compagno di gioco. È per chiedere la loro attenzione, per fargli vedere quanto sono bravi in una determinata attività, per sfidarli e mettersi alla prova. Il gioco di un bambino con il suo genitore è quindi molto più di un gioco. Potrei dire che è un momento in cui si vive la relazione.
Con il passare degli anni, la richiesta di giocare con i genitori diminuisce. Non solo il bambino preferisce i suoi pari, ma ha anche meno bisogno di cercare l’interazione con i suoi genitori attraverso il gioco. Questo non è certo un male, anzi. Piuttosto è il segno che il bambino sta crescendo e che sta diventando ogni giorno più padrone dei propri interessi.
In questa situazione, che ho qui descritto molto brevemente, si inseriscono i videogame. Momenti di gioco apparentemente solitari che possono però diventare condivisi.
Alla luce di quanto ho appena raccontato, è bene o no videogiocare insieme a loro?
Per rispondere a questa domanda mi devo fare aiutare da alcuni studi che hanno al centro il tema del coviewing, ovvero il guardare contenuti su uno schermo con i figli. Alcuni di queste ricerche, pubblicate già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, mettevano in luce l’importanza del guardare la televisione insieme ai figli. In questo modo aumenta il livello di apprendimento dei bambini. Detto in altri termini, più i genitori interagiscono con i propri figli di fronte alla TV, più i bambini fanno un’esperienza positiva.
Altre ricerche, pubblicate più recentemente, hanno poi messo in luce in maniera più precisa tre modalità di relazione che un genitore può avere con il figlio. La prima è di tipo restrittiva. Ci si limita a dare delle regole sui contenuti da vedere e sulla quantità di tempo da passare di fonte allo schermo. La seconda è di tipo sociale. Si guarda la televisione insieme ai figli, ma senza interagire più di tanto. La terza è di tipo istruttiva. Si parla di ciò che succede dentro lo schermo, ci si sofferma su alcune tematiche, si parla di quanto visto quando si spegne la televisione. Quest’ultima modalità è quella che consente al bambino di non subire passivamente le immagini che scorrono sullo schermo e di rielaborare i contenuti osservati.
C’è poi anche una quarta modalità. I ricercatori del Joan Ganz Cooney Center, centro statunitense specializzato nello studio dell’apprendimento dei bambini attraverso i media, l’hanno chiamata joint media engagement. In italiano potremmo tradurre questa espressione con il cercare di interagire con il figlio mettendo insieme i contenuti proposti dai vari media oggi a disposizione. In questo modo non solo il bambino si relaziona con l’adulto, ma impara a collegare attivamente i media di cui disponiamo. Tra cui ci sono anche i videogame.
Torno quindi alla domanda da cui ero partito: è bene o no videogiocare con i bambini?
La risposta, come si potrà immaginare, è che soprattutto con i più piccoli videogiocare insieme può fare bene. I videogame, ma potremmo allargare anche ad altri contenuti che passano dagli schermi, prediligono infatti un’esperienza in solitaria. Questo potrebbe portare il bambino a chiudersi eccessivamente mentre la presenza dell’adulto al suo fianco può aiutarlo a rendere quell’esperienza più aperta e a comprenderne maggiormente le dinamiche. Inoltre può essere una bella occasione per fare insieme qualcosa di bello, che diverte i più piccoli ma anche i più grandi. Provare per credere.
Il fatto che possa fare bene, però, non significa che sia necessario o addirittura obbligatorio. Se abbiamo scelto un videogioco adatto alla sua età, per esempio, possiamo anche lasciarlo sperimentare liberamente. Evitando magari di adottare quella modalità restrittiva in cui invece di interessarci a quello che il bambino sta facendo gli ricordiamo che deve spegnere. Al contrario, sia che ci sediamo accanto a lui con un joypad in mano sia che prepariamo la cena mentre lui gioca, interessiamoci a quanto sta accadendo in quel gioco. Potremmo scoprire tante cose su nostro figlio, aiutarlo a gestire le sue emozioni e rinforzare la relazione con lui.
Le cose cambiano con l’adolescenza
Con l’arrivo dell’adolescenza, poi, anche il videogiocare insieme diminuirà. Non deve però venire meno il nostro interesse per quello che il ragazzo fa quando gioca. A maggior ragione oggi quando competizioni ed e-sport offrono al ragazzo la possibilità di fare esperienze molto interessanti e, per alcuni versi, in giro per il mondo. Sediamoci accanto lui, se ce lo consente, per farci raccontare cosa accade in quel mondo che tanto lo rapisce. Molti ragazzi, se sospendiamo il giudizio nei loro confronti, non vedono l’ora di raccontarsi.
Infine, non mi sembra superfluo ricordarlo, smettiamola di sentirci in colpa. Come genitori dobbiamo sapere fino a che punto riusciamo ad arrivare e quali margini di miglioramento possiamo avere. Anche per quanto riguarda i videogame, se non riusciamo a trovare tempo e interesse nel videogiocare con i nostri figli, cerchiamo altri modi per non lasciarli troppo soli di fronte allo schermo. Soprattutto se sono piccoli. Scegliamo insieme a loro i giochi da comprare, chiediamogli se si stanno divertendo e perché, diamogli la possibilità di raccontarci. Non tutti i genitori sono appassionati di videogame e non è detto che lo debbano diventare. L’interesse per le attività del figlio, però, dovrebbe esserci. Sempre.