Consigli e risorse

Pericoli della Rete

I minori che usano di più Internet sono più esposti al rischio di vivere esperienze negative, ma questo non si traduce automaticamente in una maggiore vulnerabilità. Anzi, l’uso della rete rende anche più competenti e conferisce maggiori strumenti per difendersi

Che cosa devono fare allora genitori ed educatori per salvaguardare il benessere e la sicurezza di bambine e bambini, ragazze e ragazzi nella loro vita online? Le risposte sono molte e complesse, ma una cosa le accomuna: è necessario imparare a conoscere i pericoli della rete per poterli spiegare ai propri figli in modo che sin da bambini possano evitarli.

Quali sono i principali pericoli che i bambini corrono online?

Grazie alle numerose opportunità che offre, l’utilizzo di internet e dei dispositivi è sempre più un mezzo di aggregazione, di scambio e di comunicazione anche tra i bambini, che spesso riescono a trovare nella rete una propria competenza sociale e che pertanto amano passare lungo tempo online. 

Tuttavia, a differenza della tv, dove il controllo sui contenuti inadatti ai minori è rigido e tutti (o quasi) i contenuti sono controllati, in Rete i potenziali pericoli per i bambini sono sono maggiori: violenza, furto di identità, linguaggio d’odio, isolamento… sono soltanto alcuni dei rischi che i piccoli naviganti possono incontrare nel mare magnum del web. Una frequentazione della rete non controllata può infatti condurre a due tipi di problemi: dal punto di vista psicologico può diventare una forma di disagio, portando i bambini a chiudersi in se stessi. Dall’altro – all’opposto – poiché la rete è un campo aperto e poco controllato può sfociare in spiacevoli incontri. 

In queste due direttrici sono identificabili infatti più o meno tutti i problemi che si possono riscontrare in internet: da un lato la pressione psicologica sul bambino, che lo può portare a sviluppare problemi come la dipendenza da internet, l’assunzione di modelli di vita irraggiungibili, isolamento e incapacità di comunicare con gli altri o di affrontare la realtà, cadendo trappola di fake news e disinformazione; dall’altro lato onilne si possono fare incontri spiacevoli e le relazioni possono essere negativamente influenzate da una scorretta percezione della rete e del web, come accade nei casi di cyberbullismo. 

Le competenze digitali dei bambini

Spesso si sottolinea come i bambini abbiano talvolta competenze tecniche e operative online maggiori rispetto a quelle dei genitori, mostrando disinvoltura nel rapportarsi con gli strumenti di connessione. Tuttavia, come hanno mostrato i ricercatori del progetto ySKYLLS, questo non significa che possiedano le altre competenze necessarie per garantirsi una vita online serena e positiva. Possono, per esempio, essere sprovvisti di capacità critiche che consentano loro di distinguere una notizia vera da una bufala, anche piuttosto grossolana. Oppure possono non avere ancora le competenze sociali e il linguaggio corretto per comportarsi ed esprimersi in modo adeguato nei diversi contesti che si trovano anche online. Ancora, i bambini possono non sapere quali informazioni si possono condividere e quali vanno, invece, protette con grande attenzione. E potrebbero non avere idee chiare su come comportarsi di fronte ad atteggiamenti che li mettono a disagio o causano loro imbarazzo e sofferenza.

Come proteggere i nostri figli dei pericoli che ci sono online?

Dalla ricerca EU Kids Online, un’estesa e autorevole ricerca sui bambini e i ragazzi di 19 nazioni europee, tra cui l’Italia, è emerso senza ombra di dubbio come bambini e ragazzi che mostrano maggiore fragilità nella vita offline siano anche quelli che si espongono a maggiori rischi in rete. Internet infatti funge più spesso da fattore di amplificazione delle disuguaglianze e delle vulnerabilità individuali

Per esempio, in molti casi sono proprio le difficoltà di socializzazione nella vita offline che possono spingere a cercare amicizie online, senza però avere gli strumenti critici per difendersi da eventuali pericoli, anzi: bambine e bambini con fragilità sono più spesso bersaglio di cyberbullismo proprio perché fragili e dunque percepiti come diversi.

Come affrontare e prevenire i pericoli in rete?

Il divieto non è più una soluzione accettabile. Anzi, è indispensabile che genitori ed educatori si applichino sin dall’infanzia a costruire la consapevolezza digitale dei bambini partendo dal costruire una relazione su questo tema: chiedere come è andata la sua giornata online oltre alla sua giornata offline, informarsi sul suo mondo virtuale, fare domande, magari giocare insieme o navigare insieme, per condividere questo aspetto della vita che – al giorno d’oggi – non va mai dato per scontato.

Infine, da un punto di vista meramente pratico, ricordiamoci sempre che – prima di far utilizzare uno smartphone a un bambino – è importante compiere due  azioni: 

  1. Assicurarsi che la privacy del ragazzo sia al sicuro, modificando le impostazioni che limitano l’utilizzo dello smartphone da parte dei bambini. Approfondisci qui.
  2. Attivare il parental control, che permette di limitare l’accesso dei bambini ad alcune applicazioni e blocca l’acquisto delle applicazioni. 
LEGGI A CASA “NATI DIGITAL – STORIA PER PICCOLI ESPLORATORI CURIOSI”

A scuola come a casa, il tempo della condivisione è prezioso per crescere, sempre. Leggiamo il libro insieme condividendone la lettura e le esperienze digitali. Chiediamolo ai docenti nel flusso dei prestiti che fanno capo alla bibliotechina di classe affinché racconto, divertimento e riflessioni siano condivisi anche in famiglia.

Che cos’è il cyberbullismo?

Con l’ingresso di internet nelle nostre vite anche il ben noto fenomeno del bullismo ha assunto nuove forme, riconducibili all’espressione inglese cyberbullismo (ovvero bullismo elettronico) che indica appunto l’utilizzo di mezzi di comunicazione digitale per molestare in qualche modo una persona o un gruppo. Non serve infatti essere grandi navigatori nella rete per trovare filmati di insulti, persone derise, video di studenti che si divertono a mettere in difficoltà persone indifese o anche più semplicemente di persone riprese senza il loro consenso e violando la loro privacy. 

Ma qual è la definizione di cyberbullismo? La Legge 71 del 2017 definisce il cyberbullismo come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Spesso purtroppo i ragazzi – e soprattutto le ragazze – vengono presi di mira per futili motivi: l’aspetto fisico, il presunto orientamento sessuale, le relazioni sentimentali, il modo di vestire e di pensare diverso dal branco. Tuttavia le conseguenze di queste prese in giro ripetute e pubbliche sono gravissime e vanno dall’isolamento al rifiuto della scuola alla depressione. Inoltre, online intervengono due fattori di amplificazione: da un lato l’anonimato e l’apparente sicurezza di potersi nascondere dietro allo schermo del pc alimentano una maggior violenza verbale e comunicativa, dall’altro la risonanza che ha il web è implacabile: le foto, i messaggi di chat o gli sms possono essere visti da tutti e per un tempo indefinito.

I dati e le conseguenze del cyberbullismo

Il cyberbullismo è uno dei fenomeni più frequenti tra gli studenti della scuola dell’obbligo. Secondo i dati Censis, il 52,7 % degli studenti tra 11 e 17 anni nel corso dell’ultimo anno scolastico ha subito comportamenti offensivi, non riguardosi o violenti da parte dei coetanei. La percentuale sale al 55,6 % tra le femmine e al 53,3 per cento tra i ragazzi più giovani (11-13 anni). Il dato è confermato anche da ricerca UNESCO sulla prevalenza del cyberbullismo nei paesi ad alto reddito, la percentuale di bambini e adolescenti che ne sono vittime varia tra 5% e 21%, con una maggiore probabilità per le ragazze di subire questo genere di angherie.

Il 76,6% degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis indica che è in internet che il bullismo trova ormai terreno fertile e il 52,8% di loro si è trovato direttamente ad affrontare casi di cyberbullismo. Tuttavia, per l’80,7% dei dirigenti, quando i loro figli sono coinvolti in episodi di bullismo, i genitori tendono a minimizzare, qualificandoli come scherzi tra ragazzi, e solo l’11,8% segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, attraverso la richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. 

Il 51,8% dei dirigenti ha organizzato incontri sulle insidie di internet con i genitori, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze dell’ordine (69,4%) e di psicologi o operatori delle Asl (49,9%). All’attivismo delle scuole non ha corrisposto però un’equivalente partecipazione delle famiglie, che è stata bassa nel 58,9% dei casi, media nel 36% e alta solo in un marginale 5,2% di scuole.

Secondo gli studi, purtroppo, le conseguenze del cyberbullismo sono molto negative: le vittime di cyberbullismo hanno infatti maggiori probabilità di entrare nel consumo di alcool e droghe e di cadere nell’abbandono scolastico rispetto agli altri studenti. Essi hanno anche maggiori probabilità di conseguire risultati scolastici negativi, avere bassa autostima e problemi di salute. In situazioni estreme, il cyberbullismo può condurre al suicidio. 

Come evitare fake news e disinformazione?

Garantire che i bambini abbiano un migliore accesso a informazioni affidabili non può che promuovere una visione equilibrata del mondo permettendo loro di essere informati e tutelandoli da truffe e bufale.

Le bufale e le fake news esistono infatti da sempre, dentro e fuori il mondo digitale, tuttavia l’esposizione quotidiana a internet ha amplificato la loro portata e la loro capacità di diffondersi capillarmente e al vasto pubblico. Le fake news sono infatti notizie false, inventate e distorte con l’intento di creare caos e disinformazione, che trovano in internet un amplificatore naturale della loro portata. 

Non solo: sono ormai diversi gli studi che mettono in guardia sull’utilizzo di intelligenze artificiali generative che rischiano di distorcere sempre di più la realtà, alimentando false credenze in soggetti che indirizzano le proprie ricerche partendo da presupposti sbagliati (cioè esattamente quello che potrebbe accadere a un bambino).

Cosa fare allora? Come difendere la nostra famiglia e i nostri bambini dalla disinformazione? Come riconoscere una bufala? E soprattutto, come preparare i nostri bambini a farlo?

Cominciamo col dire che lo scopo principale della nostra azione non è dire ai bambini che una certa notizia è falsa (o perlomeno non è soltanto questo), ma incoraggiare i bambini a controllare da soli l’accuratezza dell’informazione.

Infatti, di fronte a una notizia, vera o falsa che sia, un bambino deve sempre sapersi chiedere chi ha prodotto quell’informazione e perché l’ha fatto, a che genere di pubblico si rivolge, scoprire l’attendibilità della testata, leggere con attenzione per comprendere bene cosa si voglia dire.

Qualche consiglio per cominciare
  • L’obiettivo non è dare una risposta, ma stimolare delle domande, ovvero spingere nostro figlio a chiedersi se una notizia è vera, è completa, è corretta ecc… non dirglielo noi per prima cosa. In questo modo, infatti, lo incoraggiamo ad attivarsi ogni volta che una notizia sembra sospetta, verificando proattivamente l’attendibilità attraverso il confronto con la realtà e i siti affidabili.
  • Parlare di come vengono create le informazioni online e quali potrebbero essere le intenzioni delle persone che le scrivono e le diffondono: fare soldi? Ottenere tanti like? Influenzare molte persone?
  • Oltre a discutere delle notizie che si trovano online, per entrare maggiormente in confidenza e capire come si informa tuo figlio, navigare insieme e osservare direttamente come passano il tempo, evitando giudizi, è senza dubbio uno dei modi migliori per educare non solo a riconoscere le fake news, ma a vivere la rete in totale sicurezza.
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Dipendenza da internet: come affrontarla?

La dipendenza da internet (in inglese Internet Addiction Disorder – IAD), è un disturbo legato all’utilizzo intensivo e ossessivo di internet in tutte le sue forme, dalla navigazione sui social network, alla visualizzazione di filmati, al gioco. Esistono dunque numerosissime diverse forme che la dipendenza da internet può assumere. Secondo una recente ricerca condotta in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quasi 100mila studenti tra gli 11 e i 17 anni presentano caratteristiche comportamentali compatibili con una dipendenza da social media, con una maggiore probabilità di sviluppare ansia sociale.

Come accorgersi che il proprio figlio soffre di dipendenza?

Questa particolare forma di dipendenza è stata studiata a fondo dallo psichiatra Ivan Goldberg, che nel 1995 ne diede la prima vera definizione, indicando tra le caratteristiche che accomunano il comportamento di chi ne è affetto la necessità di trascorrere un numero sempre più cospicuo di ore di connessione, la riduzione significativa di tutti gli altri interessi, sintomi depressivi, ansiosi e agitazione psicomotoria, mancata capacità di interrompere o anche solo controllare l’uso di internet e dei dispositivi, preoccupazione con pensieri di precedenti attività online o anticipazione della prossima sessione online, mentire per quanto riguarda il tempo trascorso a giocare, isolamento, calo di rendimenti scolastici.

Come affrontare la dipendenza da internet?

Per affrontarla è naturalmente necessario l’intervento specialistico, tuttavia un buon metodo potrebbe essere la cosiddetta “pratica dell’opposto”: per interrompere la routine giornaliera ed abbandonare le proprie abitudini virtuali, se di solito si utilizza Internet appena svegli, si potrebbe proporre di sostituire questa attività con una doccia. Oppure se si è soliti collegarsi nel tardo pomeriggio, si potrebbero cominciare a svolgere delle attività in quegli orari, rimandando (non eliminando brutalmente) l’uso di internet e dei dispositivi ad altri momenti. In questo modo 

I videogiochi possono creare dipendenza?

La dipendenza da videogiochi o gaming disorder è una dipendenza riconosciuta dall’Oms (organizzazione mondiale della Sanità) che consiste in “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita” creando problemi nella vita personale, familiare e sociale. Molte cause contribuiscono alla dipendenza da videogame, ma il motivo principale per cui i videogiochi possono diventare così avvincenti è che sono progettati per essere così. E ci riescono creano giochi abbastanza impegnativi da richiederti di riprovare, ma non così difficili da farti arrendere. La dipendenza da videogioco è molto simile a un altro disturbo più ampiamente riconosciuto: la dipendenza da gioco d’azzardo o ludopatia. 

Quali sono le principali forme di dipendenza da internet?

Esistono numerosissime diverse forme che la dipendenza da internet può assumere. Le 3 principali – per diffusione e vastità dei campi d’applicazione – sono:

  • CRAVING: originariamente il desiderio incontrollabile di assumere una sostanza psicoattiva (droga, alcol) o un particolare alimento; in questo caso: utilizzo della Rete compulsivo ed irrefrenabile
  • FOMO, acronimo di Fear Of Missing Out, forma di ansia sociale che porta a dover rimanere in contatto costante con gli altri, per la paura di “essere tagliati fuori”
  • NOMOFOBIA: paura di rimanere senza carica o di non avere connessione sul proprio telefono e quindi rimanere “esclusi”, perdendo notifiche, aggiornamenti e il contatto con gli altri

 

Quali sono le altre forme di dipendenza da internet?
  • Compulsive on-line gambling: il gioco d’azzardo compulsivo, già da tempo riconosciuto e contemplato dal DSM-IV attualmente presente nel DSM-5 inquadrato nella categoria delle “dipendenze comportamentali” (dipendenze senza sostanza). La possibilità di accedere da casa a casinò virtuali o a siti per scommettitori facilita lo sviluppo di tale disturbo, con effetti deleteri sulla vita di relazione ed economica
  • Cybersexual addiction: riguarda sia il materiale disponibile in rete vietato ai minori (immagini pornografiche, giochi, film), sia le relazioni erotiche tra due o più partecipanti mediante e-mail, chatroom, webcam, social network, ecc.
  • Cyber relationship addiction: riguarda lo stabilire relazioni amicali e/o sentimentali tramite e-mail, chatroom, social network, ecc. a scapito dei reali rapporti interpersonali
  • Dipendenza da like: l’attitudine ad impostare il proprio comportamento sui social in funzione della reazione dei propri follower  e alla “ricompensa” conteggiata in like, che si riceve.
  • Dipendenza da immagine corporea digitale: necessità emotiva e compulsiva di modifica del proprio aspetto tramite i filtri digitali
  • Information overload addiction: questa dipendenza si caratterizza per la ricerca estenuante di informazioni, protratta dall’individuo per gran parte del tempo di collegamento. Le informazioni vengono ricercate attraverso attività come il web surfing e/o indagini senza fine su materiali reperibili in banche dati.
  • MUD’s addiction: i MUD sono giochi di ruolo in cui, tramite la rete, è possibile che più utenti giochino tra loro simultaneamente. Di solito prevedono la creazione di un personaggio fittizio con cui il soggetto gioca e si identifica;
  • Ringxiety: unione di ring e anxiety, sindrome da vibrazione fantasma: pen- sare erroneamente che il proprio smartphone stia vibrando in tasca, indicando l’arrivo di email o messaggi

Quali modelli offre il web ai nostri bambini?

I bambini e i ragazzi in età scolastica sono spesso sopraffatti dal mondo virtuale e esposti quotidianamente a messaggi dannosi che propongono modelli di bellezza irreali. Basti pensare che la maggior parte dei giovani di età compresa tra i 10 e i 17 anni viene esposta a 5 contenuti su 10 che incoraggiano la perdita di peso e a 6 su 10 che mostrano corpi perfetti e irrealistici (sondaggio online dell’aprile 2023 su 2736 adolescenti, 2036 genitori e 207 specialisti della salute mentale giovanile citato da IlSole24Ore). Ed è perciò naturale che tale sovraesposizione abbia un’incidenza nella percezione di sé.

Unita a modelli irreali e irraggiungibili (soprattutto da quando le intelligenze artificiali hanno rivoluzionato il mondo delle immagini e dei contenuti sul web), questa sovraesposizione può portare infatti a chiudersi in se stessi per paura di esporsi e ricevere giudizi negativi e a provare vergogna di se stessi. Un circolo vizioso che mostra spesso vite perfette e patinate, nutrendo così la crescente paura della diversità, dell’imperfezione e di quello che pensano gli altri, con il rischio di instaurarsi di bassa autostima, depressione o aggravamento di disturbi alimentari come l’anoressia..

L’utilizzo dei filtri, per esempio, contribuisce ad alimentare l’idea che non sia accettabile mostrarsi imperfetti e quindi per come, in verità, si è. Questo effetto è poi incrementato dalle foto che vengono pubblicate dai modelli sociali seguiti ingenuamente dei nostri bambini: influencer e star del web le cui foto sono sempre ritoccate, nei corpi e nei visi, ma anche negli stati d’animo e negli stili di vita. 

Modelli irraggiungibili davanti a cui la nostra vita quotidiana sembra sempre inevitabilmente frustrante. E il cui raggiungimento può anche portare al body monitoring – l’instancabile monitoraggio del proprio aspetto, che può arrivare fino all’ossessione – o addirittura a dismorfia (la cosiddetta Snapchat dysmorphia), un disturbo che si traduce nella costante preoccupazione per alcuni ipotetici difetti fisici a causa dei quali la persona crede di essere notata dagli altri, nonostante il suo aspetto rientri nei limiti della norma. Ciò che più preoccupa riguardo a questa sindrome è che non è necessario un uso attivo di internet e dei social ma anzi è alimentato più dal suo uso passivo (detto lurking).

Consigli per i genitori per promuovere la body neutrality e body positivity

Ancor più che fuggire modelli irraggiungibili, è importante con i bambini offrire modelli reali positivi. È questo il senso della body positivity, un movimento sociale incentrato sulla promozione dell’accettazione di tutti gli aspetti fisici a prescindere da taglia, forma, colore della pelle, genere e abilità fisica. I proponenti preferiscono infatti concentrarsi sulla salute del corpo piuttosto che sul suo aspetto esteriore, poiché i canoni di bellezza cambiano (e sono sempre cambiati). Molto vicino al concetto di body positivity c’è infatti quello di body neutrality: e se la soluzione fosse semplicemente quella di non pensarci troppo? Ogni giorno, anche se ci si imbatte in migliaia di foto, video, reels, personaggi famosi con cui è facile paragonarsi, dovremmo cercare di uscire da un circolo vizioso di giudizio perpetuo nei confronti di noi stessi e degli altri. Ecco dunque alcuni suggerimenti concreti per genitori ed educatori per promuovere la body neutrality e body positivity sin da bambini:

    • Impariamo a descrivere le persone e il loro aspetto esaltando gli aspetti e i termini positivi
    • Smettiamo di seguire persone che ci fanno provare invidia o senso di autocritica, sia online sia nel mondo reale
    • Cerchiamo di non giudicare mai gli altri
    • Concentriamoci sulla nostra salute piuttosto che sul nostro aspetto, sulle cose che possiamo fare piuttosto che su quelle che non possiamo fare
    • Facciamo un’attività fisica che ci piace e bilanciamo il tempo speso online con quello dedicato al mondo reale
SEGUI IL PERCORSO SULLA GENITORIALITÀ

Rafforza l’attività educativa svolta a scuola dal progetto didattico NeoConnessi seguendo il corso realizzato con la direzione scientifica di Roberta Franceschetti ed Elisa Salamini, esperte di media literacy ed educazione digitale e fondatrici dell’associazione Mamamò, fornisce alle famiglie suggerimenti e strategie per la crescita armonica dei figli, oltre a numerosissimi consigli per rafforzare anche a casa la sicurezza online.

Quali sono le altre possibili fonti di pericolo online?

I bambini ormai trascorrono moltissimo tempo in internet, sia al computer sia soprattutto su smartphone e tablet. Pertanto sono anche molto numerosi i pericoli a cui possono potenzialmente andare incontro. Ecco dunque una lista con i principali pericoli che si possono presentare loro online.

Challenge online: definizione

Le challenge, letteralmente sfide o competizioni, sono sfide nate per sollecitare l’indole dei giovani, inclini a volersi mettere in luce davanti agli altri. Si tratta infatti di compiere un’azione e poi di pubblicare sul web il video o le foto di quanto si è fatto, magari sperando che il nostro contenuto diventi “virale”. Non si tratta di una consuetudine che comporta pericoli di per sé (esistono sia challenge positive sia challenge oggettivamente pericolose) ed è importante riconoscere che le sfide online variano enormemente ed è bene conoscerne le dinamiche e le possibili implicazioni per proteggere i più piccoli. Scopri di più

Adescamento online, grooming e pedofilia

L’adescamento online si verifica quando un adulto manifesta un interesse sessuale inadeguato nei confronti di un minore e lo approccia online con l’intenzione di iniziare una relazione o avere incontri dal vivo. Il grooming è invece un reato simile ma non sovrapponibile all’abuso in quanto il groomer (colui che adesca il minore online) spesso, si “limita” allo scambio di immagini o ad alcune interazioni via webcam a contenuto sessuale. 

Quando infine si è in presenza di un vero e proprio abuso sessuale o di una violenza sessuale a danno di minori si parla di pedofilia.

Hate speech: definizione

L’hate speech online (in italiano “discorso d’odio”) è un fenomeno esteso e trasversale che tende a colpire i più vulnerabili sulla base delle origini (razzismo), della religione, del genere (misoginia) e dell’identità di genere (sessismo) e dell’orientamento sessuale (omofobia), delle condizioni socio-economiche, dell’aspetto (body shaming). Consiste nel manifestare espressioni di intolleranza rivolte contro delle minoranze (donne, disabili, immigrati…). Purtroppo il fenomeno – spesso innescato da vere e proprie fake news – trova ampia diffusione in rete e nei social network grazie all’anonimato degli utenti e alle non sempre efficienti pratiche di gestione dei commenti da parte delle principali testate giornalistiche, social network e piattaforme online. 

Consulta statistiche e normative

Dall’indagine EU Kids 2020 emerge lo smartphone è lo strumento privilegiato per collegarsi a Internet. Viene usato quotidianamente dal 97% degli adolescenti di 15-17 anni e dal 51% dei bambini di 9-10 anni. Nel corso del tempo è cresciuto significativamente il numero di bambini e ragazzi tra i 9 e i 17 anni che hanno avuto in rete esperienze che li hanno turbati o fatti sentire a disagio: si è passati dal 6% del 2013 al 13% del 2017. Continuano ad aumentare i contenuti inappropriati, legati per esempio a ostilità e razzismo, i discorsi d’odio, l’esposizione a contenuti pornografici e il sexting (ovvero lo scambio di messaggi con contenuto sessuale). Resta stabile il dato relativo al bullismo, che rimane l’esperienza che procura maggiore sofferenza. I più piccoli e le ragazze sembrano soffrire in modo più intenso per le esperienze negative vissute in rete. Un terzo dei minori coinvolti, di fronte a queste situazioni, assume un atteggiamento passivo: cerca di ignorare il problema e spera che passi da solo.

L’Eurobarometro speciale 2019 riporta i risultati di una serie di interviste condotte a maggio dello stesso anno in tutti i paesi europei. Da questa analisi emerge come la percezione della discriminazione sia più elevata in Italia piuttosto che nella media dei paesi Ue. E questo in tutte le categorie su cui è stato realizzato il sondaggio. La maggiore discrepanza tra il dato italiano e quello europeo si registra sulla discriminazione nei confronti delle persone di etnia Rom, ma è alto anche il livello di discriminazione legato al colore della pelle e all’orientamento sessuale.

Leggi e norme

Presso le Nazioni Unite sono molti anni che si discute di hate speech o discorso d’odio (per esempio del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici o nella convenzione per l’eliminazione della discriminazione razziale), tuttavi in entrambi i casi non si parla esplicitamente di hate speech. E anche a livello dell’Unione Europea non esiste una definizione giuridicamente vincolante del fenomeno, sebbene sia stato adottato il Piano d’azione dell’Ue contro il razzismo 2020-2025.

Come le Nazioni Unite e l’Unione Europea, neanche l’Italia ha una disciplina legislativa sul tema dell’hate speech, come ha evidenziato la relazione conclusiva della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre.
Tuttavia, nel nostro ordinamento esistono varie norme che riguardano l’hate speech, anche se il fenomeno non è mai affrontato in modo diretto. Tra queste si trovano innanzitutto quelle contenute nella costituzione, sia nei suoi principi fondamentali sia in tutta la parte prima (Diritti e doveri dei cittadini Artt.13-54). Inoltre, l’articolo 406bis del codice penale punisce la “propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”. Si tratta di una norma modificata poi sia dalla legge 654/1975 (con la ratifica della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni unite nel 1966) sia dalla legge Mancino (D.l . 122/1993).

La più recente legge 71/2017 introduce infine disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo, focalizzandosi in particolare su misure di carattere educativo e formativo volte a favorire una maggior consapevolezza tra i giovani sulle conseguenze anche molto gravi dei discorsi d’odio, in particolare per le vittime che si trovano in situazione di particolare fragilità. Leggi l’analisi di Save the children.

Nel 2021 il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha aggiornato le Linee Guida di Orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo redatte a partire dalla Legge 71/2017, invitando tutte le scuole italiane a educare a un uso consapevole e responsabile degli ambienti di comuni analogici e virtuali e ai diritti e doveri connessi. Al loro interno sono riportate indicazioni per azioni rivolte ai bambini e alle famiglie.

Leggi le FAQ

Quali sono i rischi più seri a cui è esposto un bambino sulla rete?

Naturalmente sono molti i rischi che si corrono online, così come le opportunità positive che ci sono in rete, tuttavia alcuni dei fenomeni più pericolosi sono il gambling (gioco d’azzardo per i più giovani) e l’adescamento dei minori da parte di persone poco raccomandabili. per i quali è molto facile creare un profilo falso, spacciandosi per coetaneo, e “agganciare” un bambino o una bambina.

Quanto tempo si può passare al massimo davanti a uno schermo?

Quantificare il tempo “giusto” davanti a uno schermo per un bambino non è facile. Detto questo, le linee guida dell’OMS raccomandano di evitare completamente smartphone e tablet fino ai due anni e di non superare un’ora al giorno fino ai cinque anni. Tra i 6 e i 9 anni è comunque preferibile il tablet allo smartphone, con contenuti e app selezionati dai genitori, continuando tuttavia a lasciare dei limiti di tempo nell’utilizzo

Come si diventa dipendenti da Internet?

La dipendenza da internet è di solito dovuta all’interazione di cause complesse e diverse tra loro. Alcune di queste possono essere solitudine, stress intenso o difficoltà relazionali unite alla gratificazione che invece sentiamo quando siamo online (giocando ai videogiochi per esempio). Tutto questo può portare a sentirsi gratificati online e isolati nella vita reale, fino a sfociare in un abuso vero e proprio.

Come si può prevenire la dipendenza da internet?

La miglior prevenzione è alla dipendenza da internet – oltre a una vita che bilancia i momenti online con quelli off line – è sicuramente l’utilizzo consapevole di internet. Per evitare episodi di abuso è infatti fondamentale conoscere i propri scopi quando ci si mette di fronte al computer e monitorare le proprie emozioni quando si è in rete in modo da riconoscere quando si sta abusando del mezzo. Nel caso dei bambini, può aiutare la cosiddetta “pratica dell’opposto”, ovvero il cercare di sostituire progressivamente il tempo su internet con altro tipo di attività, in modo da ridurre la periodicità e la durata delle connessioni.

Cosa si intende per diritto all’oblio?

Il diritto all’oblio sul web è il diritto che consente di richiedere la rimozione di informazioni personali obsolete, inesatte o irrilevanti dal web per di proteggere la propria reputazione e privacy ed è stato riconosciuto in Europa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2014. Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) – all’articolo 17 – ha ulteriormente rafforzato questo diritto, tuttavia, cercare di eliminare un contenuto che è stato ormai diffuso è molto complicato se non impossibile (banalmente perché qualcuno lo ha già scaricato o copiato): il web non dimentica… e tutto quello che viene pubblicato rischia di restare lì per sempre. Per questo motivo sarebbe meglio insegnare ai nostri figli ad evitare di condividere contenuti di cui potrebbero pentirsi in futuro.

Che cos’è la digital media literacy?

La digital media literacy sia una questione di sicurezza sia di cittadinanza e inclusione e comprende tutto l’insieme delle competenze digitali che ogni cittadino dovrebbe avere per orientarsi in maniera consapevole e attiva nel mondo, sia online che offline, dal momento che queste due realtà sono sempre più legate. Oggi possiamo consultare la nostra scheda medica online, pagare le tasse, informarci, oltre a fare degli acquisti, e ogni cittadino deve essere in grado di fare queste azioni quotidiane, discernendo in maniera efficace un sito affidabile da uno non affidabile, una notizia vera da una falsa, etc. Scopri di più.

Il deepfake è un pericolo per i bambini?

Il deepfake è un programma che prendere il volto di una persona da una foto e farlo indossare al protagonista di una scena o di un’altra foto, mostrandolo mentre compie azioni senza che il soggetto abbia fatto qualcosa o ne sia consapevole. Questo tipo di programmi, disponibili oggi facilmente in internet, può riprodurre immagini alterate senza alcun permesso e non badando nemmeno all’età degli individui. Per questo è fondamentale parlare con i propri figli di questi temi, far crescere una consapevolezza su quanto sia del tutto sbagliato condividere immagini di persone senza il loro consenso e non minimizzare simili gesti.

Che cos’è il dismorfismo?

Il dismorfismo corporeo, o disturbo da dismorfismo corporeo, è un disturbo che porta a trascorrere molto tempo preoccupandosi (in negativo) del proprio aspetto sebbene sia generalmente normale. Le persone affette da questo disturbo possono concentrarsi sulla dimensione o sull’aspetto di una specifica parte del corpo, ad esempio il naso, e normalmente ritengono che abbia dei difetti enormi e che gli altri lo notino e ne facciano una ragione di giudizio negativo. Ciò che più preoccupa riguardo a questa sindrome è che non è necessario un uso attivo di internet e dei social ma anzi è alimentato più dal suo uso passivo (detto lurking).

Che cos’è il lurking?

Si tratta dell comportamento di chi si collega a un newsgroup, un forum di discussione, una chat-line, ecc., senza partecipare con suoi interventi ma limitandosi a leggere il contenuto di quelli altrui (e non uscendo in tal modo mai allo scoperto). Sebbene sembri più innocuo, può essere un indice di dismorfia, ovvero di una particolare sensazione di inadeguatezza del proprio aspetto fisico.

 

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